Lunedì 6 Novembre 2023

Questa mattina la sveglia è suonata alle 7.00 mi sono alzata subito, senza rimandare la sveglia come facevo di solito. Sono troppo in ansia per poter richiudere gli occhi e cercare di non pensare; la sera prima era già stato difficile prendere sonno, sentendo la pelle che vibrava e la mente che viaggiava tra mille possibili scenari. Ho fatto colazione con una barretta ai cereali e cioccolato fondente e con una tazza fumante di caffelatte, mi sono sciacquata e vestita con gli abiti che avevo scelto la sera prima; ho fatto tutto ciò cercando di soffocare l’ansia e la paura. Mentre scendevo verso il terminal pregavo che ci fossero studenti su quel pullman e non solo vecchi come era di solito in quelle fasce orarie.

Sono arrivata al terminal e trovato il pullman ho scrutato l’autista cercando di capire che tipo fosse. A pochi minuti dalla partenza sono salita sul pullman, mi sono seduta al solito posto: sedili vicino la seconda porta abbastanza larghi per non restarci bloccata e abbastanza vicino alla leva di emergenza per far aprire le porte. Il pullman non era deserto c’era un uomo di mezza età che incontro sempre e anche una donna; seduti ai sedili opposti conversavano. Dopo di me sono salite due studentesse del conservatorio, una aveva un violoncello ingombrante infatti le è risultato difficile posizionarlo, l’altra aveva un violino sicuramente più facile da gestire. Si sono accomodate l’una affianco all’altra e hanno conversato gioiosamente per tutta la loro permanenza. Questo mi ha dato abbastanza tranquillità da poter indossare entrambe le cuffie ed avere il volume abbastanza alto da poter sentire solo musica.

Dopo 15 minuti dalla nostra partenza la donna è scesa lasciando l’uomo senza qualcuno con cui poter conversare. Dopo altri 15 minuti è scesa anche la violoncellista lasciando la sua compagna a scrutare la natura al di fuori del finestrino. Alla penultima fermata l’uomo e la violinista scendono. Io resto sola nelle orecchie solo una cuffietta, manca solo una fermata, la mia.

Ci siamo io e l’autista: spero tanto sia una brava persona e che non diventi una delle mille ipotesi possibili che tanto mi spaventano. Osservo l’angolazione dello sterzo e mi assicuro che non cambi strada, il cuore è alterato. Arriviamo al terminal, scendo. Sono contenta di essere arrivata sana e salva, ora devo solo uscire dalla struttura e raggiungere i miei genitori che sono nel parcheggio. Mi avvio tra i gelidi e spogli corridoi cercando di non incrociare gli sguardi dei numerosi uomini di ogni età ed etnia che incontro.

Finalmente sono fuori, c’è un bel sole, ma non scalda, è pur sempre novembre. Vedo la macchina dei miei genitori, mi sento sollevata e mi avio tranquilla verso di loro.

Mentre scendevo le scale esterne una figura le stava salendo alla mia sinistra. Guardo bene: è un uomo del mio paese. Riconoscendolo ho pensato: “strano che ci fa a 45 minuti da casa”. Non credo che lui ricordi il mio volto. Sarà stato forse l’indugiare troppo a lungo del mio sguardo fisso nei suoi occhi; pochi secondi in verità, il tempo di capire chi fosse. Ma a lui saranno bastati per prendere coraggio e rivolgermi la parola.

Non ho fatto in tempo a discostare lo sguardo che venendomi incontro mi dice: “eh una bella ragazza sei”, con un’aria tutta compiaciuta. Io incredula guardo verso la macchina e allungo il passo senza mai voltarmi dietro. Sentivo quegli occhi viscidi guardarmi seguirmi. Entro nella macchina, chiudo la portiera.

ll cuore è a mille.

Saluto i miei genitori e faccio finta di niente, non voglio preoccuparli siamo lontani e sono sempre in pensiero per me. Sono molto ansiosi, proprio come me, mi renderebbero ancora più difficile compiere le azioni più normali e quotidiane che comporterebbero lo stare sola.

Non riuscivo a smettere di pensarci continuavo a pensare a cosa sarebbe successo se non fossi entrata in macchina, se non ci fossero stati i miei genitori lì ad aspettarmi.

Arrivati a destinazione mi sono sottoposta alla visita che fortunatamente ha avuto esito negativo, abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo. Mi sono sentita stupida per quanto tempo ho passato a preoccuparmi e a pensare al: “e se… che faccio?”.

Il sollievo è durato poco, appena ci siamo rimessi in macchina il pensiero di dover tornare al terminal mi ha stretto la gola, scombussolato lo stomaco, sudavo, tremavo, il cuore a mille. Volevo vomitare. Ma ancora una volta ho cercato di fare in modo che nessuna preoccupazione si palesasse sul mio viso.

Arrivati al terminal mancavano ancora 15 minuti alla partenza del pullman, ho salutato i miei genitori e cercavo di prendere tempo. Chiuso lo sportello alle spalle ero rimasta io e un sole che non riscaldava la mia pelle, che continuava a vibrare come la corda di uno strumento sollecitata dal vento. Mi sono guardata intorno, lo cercavo tra le presone, non vederlo mi dava sollievo, ma qualsiasi uomo per me era motivo di preoccupazione. Arrivata alla stazione ho fatto irrequietamente avanti e indietro tra le panchine fino a quando degli studenti non salgono sul pullman, li seguo. Mi mantengo sempre vicina alla comitiva e mi siedo vicino a loro. Via via il pullman si riempie di persone, alcuni studenti li conosco. Non ho più paura, ma mi sento affranta. Arrivo al terminal dell’università tra centinaia di ragazzi. Mi sento al sicuro. Sono a casa.

Io avrei raccontato questa storia con un “oh mio dio cosa mi è successo…!”, ma avevo paura che qualcun altro mi avrebbe risposto con un “ti ha solo rivolto la parola”, “ti ha fatto un complimento”, “nessuno ti ha fatto del male”, “non farne un dramma”, “non c’è motivo di preoccuparsi”, “sei esageratamente ansiosa”.

Invece ricevere avance non richieste quando sto semplicemente camminando per strada mi spaventa, ho paura che un giorno diventeranno qualcosa di più. Ricevere avance non richieste, essere suonata, fischiata, o quando un conoscente mi rivolge frasi o espressioni maliziose mi spaventa. Mi portano ad aver paura di qualsiasi uomo, a rinunciare a fare una passeggiata, la spesa, una tratta in autobus da sola. Mi fanno sentire in guerra, costantemente una preda sola tra centinaia di cacciatori. Quando devo fare una di queste cose sola sono costantemente in ansia. Dopo questo avvenimento lo so che la prossima volta che dovrò fare qualcosa da sola cercherò compagnia e se non la troverò rinuncerò.

So che questo evento per quanto può sembrare insignificante, mi bloccherà di nuovo e ritrovare il coraggio per vivere momenti ordinari della mia vita senza pormi limiti non sarà affatto semplice.

 

Approfondimenti

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